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La Pennetta lascia, Renzi raddoppia

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Dicono gli inglesi che la qualità di un pugile si vede da come scende dal ring, non da come vi sale. E molti anni fa il più famoso pallanotista della storia italiana, Eraldo Pizzo, cercava di spiegarmi come gli fosse “quasi impossibile uscire dall’acqua”, lasciare cioè le piscine del suo sport. Adesso Flavia Pennetta trova un modo e un tempo fantastici per farci sapere che si ritira, subito dopo aver consumato in finale degli US Open sui “Prati Fluenti” di New York la conterranea, amica e rivale Roberta Vinci. Che a sua volta aveva defenestrato dal balcone del Grande Slam la favoritissima Serena Williams.

Per l’evento tennistico azzurro del secolo oltre al passato remoto del Coni, Giovannino Malagò, non è voluto mancare il premier, comparso nel Queens a Flushing per una finale che “doveva per forza premiare un’italiana”, come in un film di Sacha Baron Cohen. E’ tutto perfettamente in linea, con la “politique d’abord” e l’idea di sport che si ha da noi. Si festeggiano le imprese dello stellone, sacrosantamente, ma si ignorano le voragini di base, come per esempio la nullità nazionale degli ultimi Mondiali di Pechino d’atletica leggera. Ora si dà il caso che la regina delle Olimpiadi e il denominatore comune di ogni disciplina, nonché lo sport che è senza confini e recluta ovunque e quindi è il metro più credibile per misurare la sportività agonistica e praticata di un Paese, sia proprio l’atletica. Ma di certo Renzi e Malagò in volo per gli US Open non di questo avranno parlato bensì della “grande opportunità dei Giochi del 2024 a Roma”, dove in questi giorni se piove mezz’ora si allaga tutto…

Ma il nuoto, la scherma e l’irripetibile (?) Pennetta-Vinci coprono tutto e loro malgrado nell’imperante incultura sportiva tappano all’apparenza i buchi. Anche perché c’è comunque il calcio che pur nella sua inattendibilità distrae e riempie lo stomaco della Nazione. Specie quest’anno che il campionato sembra il più incerto da un ventennio a questa parte. Dopo quattro scudetti consecutivi, una sorta di ritorno dell’andata rappresentata da Calciopoli come in una speciale Coppa di costume, infatti la Juventus è partita come un’anatra zoppa. Più o meno come sta accadendo al Chelsea di Mourinho, contestatissimo e perdente. Solo che nessuno può collegare le figuracce sul campo dei campioni d’Inghilterra con le faccende private della famiglia Abramovich, il magnate che possiede il club. Mentre invece per la Juve, ovviamente nel silenzio mediatico rotto mi pare solo da Dagospia, le vicende matrimoniali del presidente Andrea Agnelli vengono invocate da chi sa come fonte di confusione societaria, deresponsabilizzazione nella traballante estate di mercato, redini molli su un cavallo che ha corso molto prima con Conte in sella e poi con Allegri.

E a proposito sul piano tecnico sarei curioso di capire perché il tecnico toscano, certamente valido sotto tanti profili, avendo perso Pirlo come schermo costruttivo davanti alla sua difesa abbia pensato, non disponendo fino a ier l’altro di Marchisio, di sostituirlo con Padoin, invece di avanzare Bonucci di qualche metro, alla Desailly vecchia maniera del Milan di Capello. Ma ancora più interessante del trambusto juventino in fondo alla classifica c’è il caso Totti in cima ad essa, con la Roma che a Frosinone ha dimostrato contemporaneamente che non esistono partite vinte in partenza e che comunque se si vincono sul campo non giocando bene l’anno può essere quello giusto. Ma per Francesco Totti, ormai trentanovenne, in ballo c’è un capitano non giocatore, più Del Piero che Pennetta. Evidentemente ha ancora voglia di giocare e in allenamento non deve sentirsi così anacronistico, altrimenti il rispetto che ha di sé uno dei migliori giocatori italiani del dopoguerra, la sua autoironia (do you remember i suoi spot pubblicitari?), la sua intelligenza non solo calcistica gli impedirebbero di struggersi in panchina oppure di “scendere in campo col Frosinone dall’inizio”.

Vale il discorso di Eraldo Pizzo, e staremo a vedere. Il resto del campionato è livellamento molto più muscolare che tecnico, con la provincia che non demorde. Chi “morde” è Andrea della Valle, che definisce “inquietante” il clima di contestazione a Firenze da parte dei tifosi. Ma non è grave: è solo un po’ viziato…

Oliviero Beha, Il Fatto Quotidiano


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